Aldous

Biblioteca del coraggioso mondo nuovo

PER TUTTO QUESTO CI VUOLE ARTE

Nell’universo delle pubblicazioni ha trovato luogo, lo scorso luglio, un testo a dir poco sorprendente quanto necessario. Mi riferisco a L’arte del capitale di Giuseppe Sapienza, pubblicato per Algra Editore. 
In un tempo in cui si è avvezzi a consumare ogni cosa al ritmo di un click; a guardare al singolo effetto piuttosto che al fenomeno nella sua interezza; dove, all’ombra di un’avvenuta parcellizzazione di pensiero, azione, sentimenti, ci si compiace di aver raggiunto un elevato grado di civiltà, lo sguardo sagace di Giuseppe Sapienza giunge a rimestare le carte costringendoci a guardare là, dove non si è abituati a guardare o, forse, dove non si desidera affatto guardare.
Perché più facile, certo meno doloroso, sicuramente conveniente
In questo coraggioso libro, che tale si dimostra già dal titolo, la sottile ironia che lo pervade, e mai trascende sé stessa per farsi gratuito sarcasmo, si offre a noi come fil rouge per questo viaggio intorno all’uomo e al suo tempo. Il nostro tempo.
Sin dalle prime battute, il lettore viene fatto ostaggio da una parola asciutta, schietta, precisa, che non rinuncia però al gusto del lirico; da un dire, volutamente epurato dalla pretenziosità del monito, ma che, al pari di esso, muove in noi altrettanta inquietudine. Uno scritto questo, dallo stile piuttosto inusuale e dunque, difficile da collocare rispetto al genere. Eppure, anche in ciò è la sua forza.
“Benvenuti in questi tempi” - esordisce il Nostro nella potente introduzione - “… dove l’uomo si vergogna di non essere un lupo / e il buon senso suggerisce agli uomini di ingannarsi/ l’un l’altro”.
Il primo gancio al lettore è bell’e servito. 
Difficile, infatti, archiviare queste frasi come una semplice “apertura ad effetto”, una sequela di parole meramente rivelatrice un azzardo d’autore. Impossibile non intuire che già lì, è contenuto il senso di una dinamica cui nessuno si sottrae. Che sia la casalinga, l’impiegata, il politico il portaborse, l’imprenditore, il docente universitario, l’operaio, il mio nemico, il mio più caro amico, tu che leggi, io. Nessuno!
L’arte del Capitale incenerisce così ogni nostro alibi, sovverte in noi ogni possibile schema adattivo fin qui elaborato rispetto alla contemporaneità e lo fa, con la stessa potenza di un distopico sci fi che sa narrare della paradossalità del presente attraverso la distorsione dello stesso.  
Un libro questo, che vale il paradosso che incarna. Un libro che, come ogni buon paradosso, testimonia un’ineludibile verità. 
Fin troppo chiaro, fin troppo vero, quando leggiamo: “Tu che ai neri paghi salari più bassi / unisciti col politico che è a favore dell’immigrazione” e, ancora: “...non fare lavare i piatti a uno schiavo/ nove ore al giorno col cuore pieno di rabbia /fanne venire uno dalla guerra/e nella tua cucina troverà il paradiso”.
Probabile, che dinnanzi a un’opera come questa gl’irriducibili della cosiddetta critica costruttiva, i conciliatori ad ogni costo, si sentano a disagio. La provocazione posta in essere dall’autore non è certo da poco. Sapienza si guarda bene dall’imbonire alcuna cura, alcun suggerimento, tantomeno dall’esplicitare una ragionata proposta risolutiva. Proprio No. 
Sapienza il lettore non lo coccola, non lo imbecca, né pensa di doverlo rassicurare. Ciò che fa, è lasciarci tutti lì, adulti allo specchio, soli, a interrogarci e, si spera, a richiamare noi stessi alla nostra umanità, alla nostra residuale responsabilità. In balia del ritmo incalzante di questa narrazione dunque, non ci rimane che guardare in faccia quel sistema generato dall’uomo e che, perversamente lo cannibalizza: un sistema chiamato Capitale.
Infatti, Sapienza: “Quando il Capitale incontra la natura umana /rende l’uomo con molto capitale avido/ e l’uomo con poco capitale meschino”. 
Una buona lettura.