Aldous

Biblioteca del coraggioso mondo nuovo

SUL METAVERSO

«Il dossier digitale è sul tavolo del futuro. È inutile, e irresponsabile, rifiutarsi di sfogliarlo» (p. 141). Anche per questo Eugenio Mazzarella formula un’analisi del digitale all’altezza della sua complessità, dei suoi sogni, della sua effettività (Contro Metaverso. Salvare la presenza, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 142)

A guardare bene, i fenomeni più ‘all’avanguardia’ della nostra ipermodernità, le tecnologie più avanzate e innovative, conservano, presentano e manifestano in realtà dei tratti arcaici. Il progetto del Metaverso intende trasformare Facebook in ciò che esso è stata sin dai suoi inizi. Non una piattaforma di incontri e interazioni; non un immenso database di parole, nomi, immagini, suoni; non un’impresa commerciale ma il tentativo di creare una nuova realtà, il sogno di essere dio. Il fondamento di Facebook e Metaverso è «un animismo digitale» (102) di forte impronta numerica (‘digitale’ appunto) e dunque galileiana e platonica che disprezza la realtà dei corpi, della materia e della presenza per sostituirla con una «dimensione vitale, relazionale, sociale e comunicativa, lavorativa ed economica vista, agita e proposta come frutto di una continua interazione tra la realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva. Dove l’effetto gorgo, il buco nero dell’online fagocita sempre più la realtà offline, la vita come tale» (11), in questo modo «sradicando la nostra vita, il nostro esserci, dall’essere-nel-mondo di presenza fin qui abitato» (15).

Se si guardano le modalità concrete nelle quali sinora si è tradotto questo progetto, emerge appunto la sua somiglianza con forme di dominio assai tradizionali, un «uso oligarchico e lucrativo della rete da parte di uomini su altri uomini» (96-97) che si manifesta, tra l’altro, in «concretissimi processi di alienazione sociale, esistenziali e finanche percettivi […]. Non ci si rende conto che il web è la nuova gleba a cui siamo asserviti, paradossalmente ancora più stanziale della vecchia gleba, perché è racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a ‘casa’, senza neppure necessità che si esca ‘in campagna’» (25).

Lungi dall’essere smart, intelligente e agile, il telelavoro è una «truffa che rischia di aggiornare online il cottimo della manifattura domiciliare senza fabbrica» (50). E dunque la decantata da troppi (Luciano Floridi, ad esempio) ’quarta rivoluzione’ dell’infosfera si rivela un ulteriore «passaggio epocale nella storia dell’alienazione intrinseca all’umano nel rapporto con i suoi mezzi» (60). Un’alienazione proprio nel senso marxiano, una rinuncia all’autonomia e all’emancipazione per sottomettersi invece senza neppure averne coscienza a una «oligarchia dei padroni pubblici e privati del web nel Deep State  del potere dell’infosfera» (115).

Questo spiega anche il presentarsi di forme di luddismo che sono sempre inseparabili dalle pratiche di sradicamento e di alienazione implementate a partire dalla Rivoluzione industriale, un «luddismo digitale» che «come tutti i luddismi avrebbe le sue ragioni» (95).

Siamo in pieno Otto-Novecento, abitiamo forme di sfruttamento e di alienazione che sono insieme virtuali e reali. E questo anche perché non esiste alcuna Intelligenza Artificiale, espressione definita senza mezzi termini da Mazzarella un imbroglio in quanto «definire la computazione automatizzata intelligenza artificiale è una truffa linguistica, che Bacone avrebbe ascritto agli idòla fori, a quegli errori dovuti al linguaggio e alla sua fallacia che non corrispondono a nulla di reale e ne corrompono o impediscono una corretta conoscenza» (100).

A questa potente forma di alienazione; a questa «realtà ibrida che dall’interno avrà scarse o nulle capacità anche di sapersi come ibrida» (136); a questa «demenza digitale» (140) che scambia le forme di controllo più pervasive mai concepite con i sogni dei visionari transumanisti, con il paradiso del non dolore e dell’immortalità; a questa «tecnologia altamente tossica» (127), Eugenio Mazzarella oppone un imperativo che è insieme politico, antropologico e ontologico, quello di «salvare la presenza, che è il più generale imperativo del presente» (49).

E lo fa nel modo più disvelatore, che non sta nelle forme della polemica social, del giornalismo, dell’economia ma nel livello profondo della filosofia.