PENSIERO MOLTEPLICE
È il progressivo compiersi di una chiusura quello che i tre capitoli e l’introduzione di Pensiero unico, forse neanche quello. Saggi sul banale contemporaneo, volumetto di Davide Miccione uscito per i tipi di Algra editore nel 2018, descrivono. Chiusura alla curiosità, chiusura all’intuizione, chiusura alla scrittura, chiusura infine al pensare. E quindi chiusura lenta, implacabile, durissima e stupida alla filosofia: «…lo studioso non deve occuparsi di nessuna forma di orizzonte veritativo o di salvaguardia dei beni spirituali della civiltà ma partecipare vittoriosamente ai ludi bibliografici, l’artista non può mettere la bellezza tra i suoi obiettivi ma occuparsi dell’oscillare delle sue quotazioni e l’insegnante non si occupa della Bildung dei giovani allievi ma di addestramento al lavoro» (p. 10).
Che cosa ha reso possibile una tale chiusura? Da chi essa è stata attuata? La risposta è complessa perché è intricata, rizomatica, inverosimile e tuttavia possibile. In Italia l’esecutore sono le commissioni parlamentari, i ministeri, in particolare il Ministero dell’Università, il cui entusiasta -e interessato- accoglimento della «endoencefalizzazione dei dispositivi a partire dagli anni trenta di questo secolo» fa prevedere «la scomparsa dell’Italia tra i territori produttori di filosofia» (p. 50). Una distopia, certo, ma che sembra sin d’ora realizzarsi un giorno dopo l’altro.
Complice è il sistema dei media, vecchi e nuovi. I primi ripetendo come dischi rotti la loro abituale osservanza e obbedienza a chi pro tempore comanda -e li paga-, i secondi nella tipica aggressività del bambino che neppure sospetta esista prima della sua nascita un tempo nel quale sono accaduti miliardi di eventi, molti dei quali significativi e fondanti. I mandanti? Le risposte possono anche qui essere molteplici: dallo spirito del tempo al trionfo del liberismo nella lotta di classe, con il conseguente imporsi della mentalità aziendalistica in ogni angolo, luogo, momento e prassi della vita collettiva; dall’immensa forza d’inerzia della pigrizia intellettuale alla sterilizzante trasformazione della pratica e del metodo scientifici in pura amministrazione tecnologica dei fondi di ricerca.
Ma forse il primo e l’ultimo mandante è la stanchezza, la grande stanchezza che Husserl descrive così bene nelle pagine finali della Crisi delle scienze europee: «Europas größte Gefahr ist die Müdigkeit», il grande pericolo dell’Europa è la stanchezza (E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, «Husserliana. Edmund Husserl gesammelte Werke», herausgegeben von W.Biemel, Nijhoff, The Hague 1976, Band VI, p. 348).
La stanchezza di chi reclina il capo sotto il peso di una tradizione così potente da non riuscire più a reggerla con la fragilità dei propri apparati economicisti, spettacolari, colonizzati. Una tradizione come succhiata e svuotata dall’interno, dalla rinuncia al sangue della storia, dal disconoscimento del tempo che si è stati. Ma dopo Husserl la filosofia non è finita affatto e quindi non finirà neppure dopo il 2022 o il 2057 nel quale è ambientato lo «scherzo distopico (prossimo venturo)» che chiude il libro di Miccione.
Il quale prima di narrare la sua distopia ha descritto e analizzato «il terzismo» come «malattia senile del moderatismo» e ha soprattutto mostrato la scintillante rivincita di Günthers Anders sulla miope critica che un Umberto Eco più integrato che mai gli rivolse negli anni Sessanta del Novecento. Eco accusò Anders «di operare incaute generalizzazioni, di ingenuità, e di aristocraticismo» (p. 32), sino a inserirlo tra le figure borgesiane degli «eresiarchi di Uqbar» (p. 34), a proposito di immagini, specchi, televisione. Miccione mostra come in realtà l’essenza critica e politica delle analisi di Anders sia senza confronto rispetto a quella che appare spesso la riduzione del mondo a un «parco giochi del teorico» (p. 37) nelle pagine di Eco.
La varietà e l’unitarietà di queste pagine sciolgono il pensiero unico in un approccio plurale al mondo, danno un contributo al pensiero molteplice che tenta di capirlo.