Aldous

Biblioteca del coraggioso mondo nuovo

IL DIRITTO DI NON ESSERE A FAVORE

Non credo sia corretto definire, per rispetto agli spettatori e per dispregio dei figuranti che lo abitano, come “dibattito politico” quel sinedrio permanente in cui, da tre anni, giornalisti e personaggi televisivi spiegano ed elogiano le parole del potere e (in gruppo e solitamente aiutati da un conduttore fintamente arbitro ma egualmente vigile e schierato) stigmatizzano e giudicano con aggressività e durezza, a mo’ di esempio edificante per il popolo, chi di queste parole non è convinto. Spesso a delle argomentazioni che cercano di smontare le varie “favole belle” che si susseguono (guerre per la pace, passaporti sanitari per la libertà, sostituzione dell’intero parco auto del pianeta per l’ambiente e via ossimoricamente elencando) rispondono con aggressioni o dileggi e senza mai controargomentare. Del resto il senso profondo di questa pantomima non ha a che vedere con l’indebolimento logico delle tesi di minoranza ma propriamente con la rituale ostentazione del loro isolamento, serve cioè a far capire all’individuo medio, già isolato e iperconnesso di suo, che non è davvero il caso si inoltri in giri di pensiero diversi e non allineati alle posizioni dominanti e che potrebbe venirgliene solo male.

Qualora però, in spregio al realismo e al ridicolo, si volesse definire questo rito, a metà tra la cerimonia del capro espiatorio e una tonnara, come “dibattito” toccherà allora riconoscere che alcune fondamentali battaglie di civiltà sono state sostenute con coraggio civile in questi anni, quasi in solitudine, da Ugo Mattei. Credo sia abbastanza evidente la discendenza da questi tre anni di guerra culturale asimmetrica di questo suo importante volume: Il diritto di essere contro, uscito nel 2022 per i tipi di Piemme. Un libro figlio della militanza eppure con una struttura e una ritmica che ne fanno un testo pensato e pensoso. Non un pamphlet, anche se a volte ne bordeggia alcune caratteristiche, né un libro di mera attualità. È probabile che questa dimensione solida e “riposata” del volume e al contempo questa natura battagliera e legata alla militanza, in questa stagione di protesta civile che incredibilmente si fa finta non sia esistita, trovino un equilibrio e una spiegazione, ovvia a ben pensarci, nella contiguità teoretica e tematica di questa situazione pandemica con la lettura del mondo che Mattei stava già in questi anni sviluppando. Mattei ha dovuto soltanto costruire una barriera teorica difensiva, accettare la profonda solitudine di chi non si piega alla marea montante, spostare il peso delle sue riflessioni verso la critica alle tendenze liberticide e post-liberali in atto in questi ultimi tempi, abbandonando le sue più costruttive (e, viste oggi, quasi profumate d’arcadia) tesi sui beni comuni come prospettiva auspicabile della cultura di sinistra.

Ne Il diritto di essere contro è accennata anche una sorta di autobiografia intellettuale (e direi anche familiare) che mostra il rapporto dell’autore con le grandi battaglie civili novecentesche e, oggi come cento anni fa, il cedimento progressivo della società, la mitridatizzazione rispetto alla perdita progressiva delle libertà. Una autobiografia che si fa confessione cogliendo l’interezza di un processo che è personale, etico, intellettuale e politico, di una scelta che si fa di necessità una vera e propria metanoia: «questa scelta radicale di rifiuto della tessera verde mi colloca per la prima volta davvero dalla parte dei perdenti di questo processo sociale di trasformazione tecnologica del capitalismo globale. Il mio punto di osservazione è oggi per la prima volta effettivamente dal sotto in su come quello di un intellettuale colonizzato (…). Solo da questa posizione si può davvero essere critici e produrre conoscenza» (pp. 7-8). Spero non sia necessario sottolineare al lettore la forza di un passaggio simile in un’epoca in cui l’individuo parla solo di inclusione e vede come un dramma già la sola possibilità di allontanarsi dal centro del sistema.

Parlando delle leggi fascistissime in riferimento alla storia delle propria famiglia, fieramente antifascista, Mattei scrive: «a esse si era arrivati progressivamente, in un ovattato clima di sostanziale separatezza fra la società civile e il sistema politico, che rendeva accettabili, quasi normali, ritualità simboliche, per tutti i primi anni del Ventennio le peggiori manifestazioni censorie del pensiero critico (un po’ come oggi i benpensanti fanno spallucce di fronte alla censura su Facebook o YouTube o salutano con gioia il green pass senza scadenza) anche da parte di fior di intellettuali come Prezzolini o Einaudi (e qui per carità di patria non menziono gli omologhi contemporanei)». (p. 110)

Di questo Piave da difendere, Mattei sembra ben conscio anche quando fa notare amaramente come a saltare siano oggi i diritti di prima generazione, da liberalismo ottocentesco, e che diventi doveroso difenderli anche per chi pensava di poter aprire a ben altri percorsi. Un grido d’allarme il suo libro, ma anche una grande dichiarazione d’amore nei confronti della libertà: «si resiste sempre in nome della libertà come componente fondamentale della dignità e della stessa soggettività umana» (p. 84).

Mattei, come Agamben da altri crinali, segnala la catastrofica probabile fine del costituzionalismo liberale. Una débâcle per il liberalismo (tra beni confiscati in base alla nazionalità d’appartenenza e conti correnti bloccati in base alle posizioni politiche) senza nemmeno un’Antigone che pretenda almeno di inumarne il cadavere: «Sono infatti i partiti che maggiormente si ammantano di liberalismo a dare segni di insofferenza nei confronti delle garanzie a protezione delle minoranze contenute nei cosiddetti diritti di prima generazione quali quelli di libertà negativa (ossia di essere lasciati liberi nei confronti dell’ingerenza del potere)» (pag. 66), né sono da meno certe procure che “lavorano” ad una contrazione dei diritti di libertà per chi mostri seriamente di volersi opporre agli interessi delle classi dominanti: i cosiddetti no tav e no vax, e le disposizioni di legge contro di essi sono in tal senso un ottimo esempio. (p. 134)

Questo tramonto del liberalismo e delle sue garanzie viene collegato da Mattei ad uno specifico processo. È la sua una lettura della questione centrale per la comprensione dei nostri tempi e su cui l’autore fa bene in più loci ad insistere. Mattei vede il momento presente come quello in cui le logiche soggiacenti del web stanno tracimando nella vita reale candidandosi ad essere l’armatura della vita associata e mettendo in scacco il diritto o quel che ne resta. Si sta accedendo dunque, è il 2020-22 sarebbe già qualcosa di più avanzato di una semplice ouverture, ad un mondo basato su rapporti di forza (le cosiddette condizionalità) che, tronfio del proprio successo e di una capacità mirabolante di estrarre valore finanziario, pretende di espandersi fuori dal web trovando nel green pass (che in un’etica tradizionale sarebbe un regime di ricatto ma che in una società abituata a piegarsi al post-diritto dei prerequisiti e delle condizionalità finisce con il suonare tutto sommato accettabile) la porta girevole verso prospettive già realizzate in Cina con il chinese advantage.

Per Mattei «la struttura stessa del diritto viene sovvertita attraverso la sua sostituzione con la condizionalità. Infatti, il diritto è un modello istituzionale che si fonda sulla prevalenza netta della logica dell’ex post. Il soggetto è libero di porre in essere qualsiasi comportamento sul palcoscenico sociale. Qualora questo suo comportamento produca danni esso può essere represso. Solo eccezionalmente il diritto previene attraverso misure inibitorie o di polizia. Il controllo algoritmico è viceversa ex ante, fondato sulla previsione comportamentale e l’inibizione della devianza prima che questa si manifesti». (p. 174)

Forse tra qualche anno, se nessuno coglierà il pericolo della veloce erosione delle nostre libertà, della libertà soprattutto di un dibattito pubblico dove sia possibile pensare diversamente senza essere un delinquente, un antipatriota, un negazionista eccetera, la prossima voce clamantis in deserto potrebbe destare scandalo solo per aver perorato il diritto di non essere del tutto convinti.