Aldous

Circolari ipnopediche

MITRIDATE

Da vari decenni non possiedo un televisore e, quando mi capita di dormire in un albergo, mi sottopongo a un piccolo esperimento: accendo la TV e guardo per qualche decina di secondi i primi 50/60 canali memorizzati. Scorrono quindi tutte le reti RAI, quelle di Mediaset, la7 e numerosissime emittenti locali.

E allora ogni volta comprendo. Comprendo come soltanto un lento ma inesorabile processo di mitridatizzazione possa permettere a tante persone intelligenti di sottomettersi ogni giorno per varie ore a qualcosa che a me appare stupefacente:

-un’informazione (i ‘telegiornali’) che si vede subito essere né più né meno che fiction, declamata urlando, tutta uguale nelle reti nazionali, pubbliche o private che siano, tutta obbediente alla medesima ‘scaletta’ e alle stesse parole d’ordine, un vero e proprio cinegiornale del Duce fascista, che pur con governi diversi da decenni si esprime sempre alla stessa maniera;

-un ‘intrattenimento’ semplicemente idiota. Non trovo altro aggettivo per definire quiz; ballerini; stantii e volgarissimi comici; programmi ‘sportivi’ dove non si vede mai lo sport e invece si parla, si litiga, si urla; cantanti più o meno attempati e più o meno travestiti da majorettes o tenutarie di bordelli; grandi fratelli et similia dove la ‘spontaneità’ è evidentemente costruita a tavolino dagli sceneggiatori/autori di quei sedicenti ‘programmi verità’;

-reti locali che nell’informazione sono la brutta copia di quelle nazionali (e ce ne vuole) e che per il resto offrono di tutto: pomate miracolose per i capelli e per il pene; opere d’arte di eccezionale valore vendute per pochi euro; elettrodomestici bizzarri; oggetti atti a trasformare in palestre il tinello di casa; chiromanti e indovini ai quali affidare le proprie inquietudini, e molto molto altro;

-spot pubblicitari trasmessi in modo massiccio, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro; si nota subito che per i loro autori i potenziali clienti ai quali si rivolgono sono dei bambini privi di encefalo e disposti ad apprezzare stupidissime filastrocche, slogan e musichette per infanti, becere storielle, stupefacenti iperboli e, dopo aver visto e sentito tutto questo, sono pronti ad andare a comprare i prodotti reclamizzati.

Capisco quindi che soltanto l’assenza da circa 25 anni del televisore in tutte le mie abitazioni e la non visione della televisione mi hanno potuto permettere di non cascarci, di non credere alle menzogne sistematiche delle autorità, di mantenere (spero) un minimo di autonomia e intelligenza del mondo.

La televisione rimane infatti un formidabile strumento di propaganda e di consenso. La televisione è la più plastica manifestazione dell’asfissia culturale e ideologica che caratterizza la vita collettiva del presente. Anche Internet va diventando sempre più uno strumento della stessa natura e con i medesimi scopi ma la rete richiede in ogni caso un pur minimo segno di attività per selezionare i contenuti - fossero anche sempre gli stessi -, per scegliere i collegamenti e poi magari per scrivere un testo o registrare un audio, attività sempre più automatizzate da parte del fruitore della rete ma almeno sono attività. Davanti al televisore invece ti sprofondi (sul divano o altro) e ti fai cullare dalla barca delle immagini verso il mare del non pensiero.

Come scrivevo in un articolo di molti anni fa dedicato allo stesso tema: «senza quest’oggetto non solo si sopravvive, si vive meglio. Più padroni di sé, delle proprie giornate e serate, dei propri pensieri, dei propri errori. Più liberi» (Liberarsi dalla (tele)visione, «girodivite.it», 9.2.2007).

Qualche tempo or sono nella casa di Milano ci fu bisogno di un imbianchino, il quale guardandosi intorno chiese se il televisore era in riparazione. Quando gli fu detto che in casa non c’erano televisori, rimase sbalordito arrivando a esclamare, in un moto di spontanea solidarietà, «ve ne regalo uno io!». Evidentemente per questa persona vita e televisione coincidono; senza televisore non c’è vita. E invece senza quell’elettrodomestico l’esistenza è più piena; l’enorme quantità di tempo che esso sottrae viene riacquistata, posseduta, gustata in altre e migliori forme.

Assicuro i lettori di questa nota che ci si può riuscire. A condizione però di sbarazzarsi dell’oggetto. Pensare di tenerselo in casa senza ‘accenderlo’ è un’altra illusione.

Già nel 1964 l’antropologo André Leroi-Gourhan sosteneva che lo strumento televisivo «separerà dalla massa pochi elementi per dar loro la posizione di fabbricanti di evasione teleguidata. Una minoranza sempre più ristretta elaborerà non solo i programmi essenziali, politici, amministrativi, tecnici, ma anche le razioni di emotività, le evasioni epiche, l’immagine di una vita diventata completamente figurativa, perché alla vita sociale reale può, senza scosse, sostituirsi una vita sociale puramente rappresentata. […] L’immaginazione, che non è se non la possibilità di creare cose nuove partendo dalla vita vissuta, corre il rischio di un sensibile calo» (Il gesto e la parola, trad. di F. Zannino, Einaudi, Torino 1977, pp. 419-420).

Cedere ad altri il patrimonio della nostra immaginazione (e della nostra razionalità) significa diventare dei mendicanti.