Aldous

Circolari ipnopediche

LA SCUOLA DEI TRANSUMANI

Dove orientare lo sguardo per cogliere l’angustia di questo momento, il muoversi prevalente in pochi centimetri di spazio e di senso? Qualcuno fissa lo sguardo sui conformisti, mai così tanti, mai così attivi in parole, opere e omissioni; pronti a scattare all’unisono in una performance che ricorda il nuoto sincronizzato o una parata militare. Altri osservano i pochi sopravvissuti chierici (spesso quasi ottuagenari), i grandi classicisti o medievisti o filosofi che provano a mostrare le articolazioni del reale e, con l’aria stupita di chi non si capacita delle reazioni esagitate dell’interlocutore, lamentano il mutamento culturale in atto.

Esiste però un terzo elemento: meno evidente, meno spettacolare, che va cercato con più pazienza. È la mozione di minoranza, la perplessità degli individui che non hanno un sistema o una convinzione da contrapporre a quello vigente ma egualmente non riescono a farsi convinti della bontà di ciò che vedono e che vivono. Dalla esitazione, lo stato che un Hans Blumemberg particolarmente ispirato definiva “pensosità” e metteva in relazione con la nascita della filosofia, si può cogliere lo stato di malattia del nostro pensiero collettivo. Lo si rileva dalla incapacità del perplesso di mettere in dubbio i principi e la razionalità generale del sistema. Oggi chi contesta, contesta su questioni di dettaglio, tecniche, logistiche. È qui che vedi che non gli è più visibile con chiarezza neppure il modello entro cui si trova e verso cui prova fastidio. Decenni di addestramento al rifiuto di ogni teoresi stanno mostrando la loro efficacia.

Il mondo perfetto in cui cogliere questo slittamento è la scuola. La scuola di oggi, pandemizzata in eterno, emergenziale, gonfia di retorica, che continua senza contraddittorio a digitalizzarsi ma adesso pretende una preghiera del mattino di ringraziamento alla dad. Una scuola che ha ormai saldato un’anima tecnocratica (il controllo del pericoloso estremista dell’educazione che potenzialmente si cela in ogni insegnante è da decenni uno dei moventi essenziali di una burocrazia sempre più gonfia) con un’anima emotivista e retorica, perbenista e parahuxleyana. Un meccanismo perfetto, tra l’altro in grado di produrre grosse quantità di sensi di colpa in docenti e discenti.    

Qualche giorno fa una ragazza vicina al diploma di maturità mi parlava delle sue difficoltà a rispondere alla richiesta di uno studio prevalentemente mnemonico della filosofia e della sua necessità di capire per poter imparare. Ciò che colpiva era il parlarne come di una sua esigenza, quasi un vizio o un vezzo, senza alcun risentimento e senza alcun giudizio nei confronti della richiesta di implicita incomprensione delle cose che il docente e la scuola le ponevano. Era dalla parte giusta ma non era più convinta di esserlo.

La “mozione di minoranza” non riesce più a pensare di avere ragione, non riesce più a contestare il quadro in cui è inserita, si limita, eventualmente, a chiedere una “esenzione” per sé stessa o almeno una dilazione. La maggioranza del corpo docente avrà gradito lo scalpellamento che da anni si compie sulla scuola, spezzettando il sapere, creando continue armi di distrazione? Molto probabilmente no, ma avrà pensato che le critiche che sorgevano in petto fossero proprie idiosincrasie.

Qualche anno fa un insegnante sensibile ai problemi dell’inclusione mi mostrò il pdf di un ragazzo che raccontava la sua esperienza di dislessico nella scuola di oggi e le incomprensioni per i suoi problemi da parte degli insegnanti. Buona parte del testo verteva sulle sue difficoltà ad affrontare le verifiche, consistenti in massima parte in test a risposta multipla. Il ragazzo chiedeva più tempo per leggere le domande e la presenza di alcuni accorgimenti grafici per non essere penalizzato. Non sembrava passargli per mente che la vera aberrazione fosse essere valutato con quello strumento indegno. Chiedeva soltanto fosse migliorato.

Anche chi vive l’assurdo sulla propria pelle ormai non riesce più a dire che è assurdo. Chiede solo un “assurdo migliore”. Sulla stampa nazionale si è innescata una breve polemica sulle domande del test del concorso ordinario per i nuovi docenti. I docenti esclusi dal concorso segnalavano come alcune domande fossero ambigue, altre cervellotiche, quasi tutte nozionistiche. Nessuno metteva in evidenza come salire in cattedra grazie alle risposte di un test fosse il più grande spot a favore dell’ignoranza mai realizzato. Studiare anni letteratura o filosofia e poi entrare con il “quiz della patente” è al contempo uno sputo in faccia del sistema scolastico a chiunque abbia coltivato la propria Bildung e al contempo opera una selezione a favore di chi a Steiner, Auerbach e Hadot abbia preferito sudoku e cruciverba.

Anche i fautori della mozione di minoranza si stanno mitridatizzando. Ai preoccupati per il sorpasso dell’intelligenza artificiale bisognerebbe ricordare che oggi alla prospettiva transumanista si associa una prassi subumanista, in cui gli uomini vengono addestrati (il termine non è scelto a caso) a imitare i computer, a mettere tra parentesi la propria soggettività, a limitarsi ad applicare criteri su cui non hanno riflettuto, ad essere versioni scadenti (con meno ram, meno spazio nel disco rigido, più errori) di un computer, a non pretendere di essere altro. Il sorpasso dell’intelligenza artificiale avviene, ma su un concorrente che ha innestato la retromarcia. Un postumano al ribasso è l’operazione che si sta svolgendo nelle aule scolastiche e universitarie.

Un vecchio sogno degli anni Settanta, quello che traspare dalle righe di The crisis of democracy, finalmente si realizza con l’estinzione procurata degli “intellettuali orientati ai valori” e l’egemonia degli “intellettuali tecnocratici” orientati alla governabilità, semplici impiegati amministrativi della parola. Se si leggono alla luce di questa selezione/sostituzione le politiche di reclutamento universitarie degli ultimi anni fondate sulla ritraduzione quantitativa delle bibliografie si potranno avere delle significative illuminazioni.

Una richiesta di non pensiero sempre più violenta tanto da far pensare che il fastidio per i vecchi chierici sopravvissuti (Gli Agamben, i Canfora, i Cardini eccetera) e il loro residuale spazio nell’agorà non sia un fastidio per i contenuti ma per l’inaccettabilità della loro pretesa di voler trarre dagli eventi un senso e una direzione. In altre parole, l’inaccettabilità della cultura occidentale come finora l’abbiamo conosciuta.