Aldous

Circolari ipnopediche

ŽDANOV È TRA NOI

Un percorso in tre «sogni» dentro la storia della Russia e del Novecento (Il naso o la cospirazione degli anticonformisti, Russia 2020, Andrey Khrzhanovskiy). Tre sogni scanditi dal racconto di Gogol, Il naso appunto, pubblicato nel 1836; dall’opera lirica che ne trasse Šostakóvič nel 1927; dalla condanna di Stalin e dell’apparato di inquisizione del Partito Comunista Sovietico, che giudicarono l’opera del compositore un esempio di formalismo e di complicazione antipopolare, alla quale la censura e lo zdanovismo opponevano il «realismo socialista», vale a dire una banale e volgare forma di utilizzo propagandistico dell’arte, della letteratura, della musica.

Di ritorno da una seduta dal barbiere, l’assessore di collegio Kovalëv si ritrova senza naso, il quale viene visto in giro per la città a muoversi in carrozza e a presentarsi come ‘consigliere di Stato’. Dopo varie peripezie, una solerte guardia riporta il naso al suo legittimo proprietario, prima che il ribelle e subdolo organo tentasse di espatriare.

Šostakóvič trasse da questo racconto satirico un’opera che, come tutte le sue composizioni, coniuga la raffinatezza delle avanguardie del Novecento con lo spirito profondo e popolare della musica russa. Ma Stalin e i suoi complici non possedevano certo la sensibilità, la competenza, l’intelligenza necessarie per capire questa poetica. Come per altre opere di Šostakóvič, in particolare per Lady Macbeth, il Governo sovietico parlò di «cacofonia», di «caos invece di musica». E infatti il terzo sogno accenna ai tanti artisti, intellettuali, filosofi (tra i quali Pavel Florenskij) deportati e fucilati dal regime staliniano.

Tutto questo è raccontato con la lievità e la magia di animazioni assai diverse dal disegno disneyano e hollywoodiano, che non mirano a imitare il realismo degli attori in carne e ossa, che non esprimono una zuccherosa e tondeggiante illusione di felicità, che non nascondono la loro natura di disegni e quasi di marionette e che per questo risultano di grande impatto e perfettamente coerenti con la storia artistica e politica che raccontano.

Una storia antica, la storia del dispotismo che cerca di schiacciare la libertà della ricerca, della creatività estetica, dell’invenzione politica. Una storia sempre attuale, dato che la cosiddetta «cancel culture» è l’ennesima, spregevole forma di zdanovismo, la quale in nome - come al solito e come sempre - dei valori, della giustizia, del bene, censura secoli di filosofia, di ricerca, di scienza per la ragione che i loro protagonisti sono stati «maschi, bianchi, proprietari, schiavisti». E per questo abbatte statue – Hume, ad esempio –; proibisce letture, come accade in varie università anglosassoni ad alcune opere di Shakespeare – tra queste Il mercante di Venezia o chiede che non venga più letta nelle scuole italiane la Divina Commedia poiché Dante presenta islamici ed ebrei nella luce peggiore; cambia o chiede di cambiare nomi ad antiche e recenti istituzioni culturali, come il James Webb Space Telescope, JWST, perché dedicato all’amministratore della NASA accusato di «omofobia». E gli esempi dello stalinismo politicamente corretto si potrebbero moltiplicare a iosa.

Dall’Inquisizione dei Papi all’inquisizione «Woke» e «Black Lives Matter» passando per l’inquisizione staliniana. Anche qui la storia è piena di esempi di bacchettoni che cercano di imporre a filosofi e artisti la propria bêtise. Con un’eccezione ben individuata da Giorgio Colli: «Null’altro se non l’eleutheria greca, che è lealtà verso il vincitore, poteva permettere fossero pronunciate le verità empie e terribili dei Presocratici o sopportare la loro alterigia, e nessuna potenza terrena tollerò in seguito alcunché di simile. […] Questo miracoloso complesso di doti filosofiche - quando il velo ricadde dietro questo giorno supremo dell’umanità, passarono duemila anni prima che uno solo, Spinoza, lo risollevasse - era dato dalla natura, non conquistato. Ad esso si aggiungeva la mancanza di una religione oppressiva, di una trascendenza estranea, di una casta sacerdote che facesse sentire il suo peso, in altre parole di ogni dogmatica» (La natura ama nascondersi, Physis krýptesthai philei, Adelphi 1998, p. 24).

L'eleutheria della quale parla Colli è appunto la libertà di pensare, di scrivere, di dire qualsiasi cosa, libertà senza la quale le società umane sono e rimangono un formicaio di obbedienti, una triste accozzaglia di buoni.