Aldous

Totalitarismo compassionevole

IL MIUR E LA SUA CATECHESI

A fronte di lauree sempre più leggere e di quantità di pagine lette sempre più ridotte per chi si fa dottore (credo che il programma dell’esame di letteratura italiana che diedi nel 1989 equivalga, in termini di pagine, a quello di tutti gli esami messi insieme oggi da una laurea online) si fa invece sempre più gravosa la formazione per poter insegnare. Strano che gli studenti vengano formati poco e male in università, che gli si chieda così poco per poi tormentarli, da laureati, con continui corsi e corsetti proposti sempre come prerequisiti necessari sebbene prima non previsti (dai diritti acquisiti ai doveri acquisiti man mano?). L’Italia si è del resto affezionata a quella terra di nessuno posta tra la spinta gentile (nudge) e il ricatto di Stato fatto ai più deboli ed inaugurato per il covid con il gabinetto Draghi. 

Eppure, a ben pensarci, strano non è. Dare una formazione completa, una conoscenza dei classici e degli strumenti culturali per leggerli (che perlopiù si acquisiscono, in circolarità, leggendoli), una consapevolezza dei presupposti epistemologici della cultura significa dare autonomia, significa aprire per ogni individuo un fronte di ricerca che non sai a quali posizioni possa portare, significa dare libertà. Una formazione debole, con poche letture e frammentate, con una scarsa consapevolezza epistemologica significa invece doversi continuamente appoggiare all’autorità, alla “griglia”, al metodo, alla formuletta di moda giacché non si riesce a risalire con il pensiero alle correnti a cui appartiene e alle matrici da cui discende.

Ridotti i margini di libertà intellettuale (per carenza di contenuti su cui esercitarsi) il laureato che voglia insegnare inizia una faticosa (ma soprattutto costosa) raccolta punti che (incredibile casualità!) dalla presenza in massa delle università online e dei loro addentellati politici, si è fatta sempre più insistita. Un’analisi delle tabelle dei punteggi per le graduatorie di supplenza dei docenti permetterà ad un uomo attento di delineare anche il candidato ideale e atteso all’insegnamento. Vi saranno così punti per ogni master frequentato (anche online) ma nessun punto per colui che vi avesse insegnato, vi saranno punti per l’insegnamento nel più sordido dei diplomifici privati del sud Italia e nessun punto per una cattedra a contratto in un’università italiana o straniera, e così via. Una volta chiarito ai candidati cosa è preferibile essi diventino, li si introduce ai misteriosi corsi-prerequisito che i vari ministri sfoderano uno dopo l’altro. Prima furono i 24 cfu: alcune discipline pedagogiche, antropologiche e via così che gli aspiranti insegnanti si era deciso avessero nel proprio “portafoglio di competenze” (qualsiasi cosa ciò significhi). L’idea che un supplente di matematica, magari quarantenne con figli e bloccato nel girone delle supplenze lontane e poco pagate, si mettesse a studiare seriamente Antropologia culturale o psicologia dell’età evolutiva era ovviamente assurda (oltre che capziosa e gravosa) e questa grande iniziativa di istruzione di massa fuori tempo massimo si risolse in una enorme massa di bonifici da 500 euro (questo di solito il prezzo proposto) che si dirigeva verso le principali università online che avevano approntato lestamente pacchetti di materie sotto forma di masterini online da fare con pochissimo sforzo ed esami, diciamo così, non particolarmente afflittivi.

Dato il successo dell’iniziativa (successo per gli enti che erogano formazione a pagamento ovviamente) lo si è bissato nel 2024 con la più complessa e mirata iniziativa dei 30 cfu e dei 60 cfu più legata alla didattica che alla sedicente preparazione (vi è anche una proposta da 36 cfu, dunque par di capire che la tabellina preferita sia quella del sei). Si pensa dunque che con esami di didattica si possa capire e aumentare l’abilità didattica di un insegnante (che è fatta di tante cose esistenziali, esperibili, non tutte insegnabili) mentre si coglie solo la sua capacità di memorizzare cognizioni di didattica e la sua capacità di acquisire l’orribile gergo angloide didatticista. Questi corsi, per chi ha assistito a qualche lezione, sono perlopiù animati da una furia anticontenutistica dove, nel migliore dei casi, si dà per scontata con una certa pilatesca ipocrisia la preparazione disciplinare del docente (proprio in questa fase storica di collasso della preparazione media fornita dalle università!) e nel peggiore dei casi si denigra ogni approccio che verta sulla conoscenza della disciplina che si insegna (o si dovrebbe insegnare).   

Per chi disperasse di uscir vivo da questa babele di costosi corsi e corsetti si staglia all’orizzonte il sogno del concorso. Pochi posti e prove che cambiano a ogni edizione. Anche qui si nota lo sforzo intellettuale dei pedotecnocrati del ministero di sfuggire all’incubo dei contenuti: questa strana antica superstizione che fa pensare ai più arretrati tra noi che per spiegare Tasso si debba aver letto Tasso e anche qualche suo contemporaneo nonché la letteratura critica su Tasso e avere un’idea della cultura del tempo e della storia italiana del periodo in cui Tasso si è formato e magari anche della Controriforma. Che sciocchezza! Per spiegare Tasso è importante conoscere la flipped classroom e la peer education e così via.

Ma forse conoscere non è neppure sufficiente ormai, meglio sarebbe dire che si debba credere in esse. Trapela infatti, nella stessa struttura del concorso, una richiesta di fede nel coraggioso mondo nuovo didattico delle scuole attuali che caratterizza ormai i nostri tempi. Si ponga mente a questa domanda di un recente concorso come esempio ottimo: “La progettazione didattica è: a) un modello di lavoro sistematico e riflessivo che consente di aumentare l’efficacia dei processi di apprendimento poiché permette al docente di strutturare il proprio agire didattico in modo coerente e organico; b) un adempimento burocratico che toglie tempo al docente senza per altro fornire alcun supporto utile alle attività didattiche poiché la realizzazione non segue mai in modo efficace la progettazione; c) una necessità per i docenti di nuova nomina, che hanno scarsa dimestichezza con la pratica didattica poiché la poca esperienza rende necessario un appoggio esterno”. Buona parte dei docenti d’esperienza di cui ho più stima se interrogati in privato sottoscriverebbero la risposta c) o la b). Ovviamente la risposta giusta è la a), a maggior gloria dei pedotecnocrati. Non sfuggirà al lettore attento come la risposta giusta sia in realtà uno spot, una valutazione, e non una descrizione. Chi risponde a) deve capire dove sta il bene e dove sta il male.

Le fasi di grande decadenza culturale come questa che stiamo attraversando e di cui non si scorge la fine confondono fatti e valori, non articolano e distinguono i concetti. Quando la cultura media di una nazione scende così drasticamente le prime vittime sono i concetti complessi: buono e cattivo, giusto e sbagliato, è tutto ciò che serve.

Ai lettori più anziani perlomeno desterà un po’ di nostalgia per certe mattine di domenica in cui si rispondeva a test similari durante l’ora di catechismo. “Chi è Dio?” “Dio è l’essere perfettissimo”. La risposta è sempre la a), non ci si può sbagliare.