Aldous

Distopie

GLI ANDROIDI, LA SCUOLA, I TRAMONTI

«Lezioni su schermo» (p. 130); ibridazione tra persone umane e intelligenze artificiali che si chiamano AA, Amici Artificiali; «editing genetico» (p. 216). Di questo si parla in Klara e il Sole di Kazuo Ishiguro (trad. di S. Basso, Einaudi 2021, pp. 273). Non sono gli elementi di una ulteriore fantascienza, di ancora un racconto dedicato al potere conquistato dalle macchine inventate dagli umani e che degli umani tentano di prendere il posto nel dominio sugli enti. Sono invece gli elementi di un testo all’apparenza tradizionale e in ogni caso costruito sulle strutture narrative, i dialoghi, le modalità temporali che hanno fatto del romanzo un genere letterario consolidato e a tutti noto. Di più: sono gli elementi di un racconto colmo di sentimento sino a tracimare a volte in una dolcezza arcaica e malinconica, la dolcezza dei tramonti. Dove i tramonti vanno intesi anch’essi come elementi fondamentali della trama.
Le lezioni sono quelle che una ragazzina, Josie, segue da casa sua e non da una di quelle vecchie scuole di una volta, nelle quali i ragazzi si ritrovavano tutti insieme a vivere e a studiare. Per soddisfare il bisogno di socialità, ora che ciascuno studente segue le lezioni dal proprio domicilio e le scuole fisiche sono riservate alle fasce più basse della popolazione, sono previsti dei periodici incontri a casa dell’uno o dell’altro, durante i quali cresce o si abbassa «il punteggio in materia di interazione sociale» (p. 82).
L’ibridazione è quella tra Josie e Klara, un androide avanzato della serie B2. ‘Avanzato’ non tanto nello hardware, del quale non viene fornita una descrizione accurata, ma del software, della capacità di intrattenere con gli umani delle relazioni, delle conversazioni, degli scambi indistinguibili da quelli che gli umani vivono tra loro. L’unico limite evidente di Klara è che sembra percepire il mondo a riquadri, i quali si compongono, separano, mescolano sino a costruire una Gestalt visuale complessiva e cangiante.
L’editing genetico è quello che Josie e altri suoi coetanei hanno subìto probabilmente da molto piccoli, che li ha «potenziati» rispetto ad altri ragazzi ma che a volte causa l’insorgere di malattie anche mortali. Chi non è stato in questo modo «potenziato» - come Rick, amico di Josie - viene tenuto ai margini dagli altri adolescenti e rischia di non poter mai entrare in un college, dato che ormai quasi tutte le istituzioni educative richiedono ragazzi appunto geneticamente modificati, ritenendo del tutto ovvia e giusta la «differenza» fra «chi è stato potenziato e chi no» (p. 235).
I tre elementi - l’istruzione, l’ibridazione, il potenziamento genetico - a un certo punto della trama convergono nel modo più drammatico ed estremo, almeno come possibilità. Il realizzarsi o meno della quale dipende da qualcosa di impensabile in un contesto così tecnologicamente raffinato, da una sorta di «superstizione da AA» (p. 254) nutrita con ferma, fideistica, ingenua ma argomentata convinzione dall’androide Klara. Una fede nell’elemento più universale, materico, fondante la vita e ogni scambio di energia sul nostro pianeta: il Sole. La cui «immensa gentilezza» (p. 236) è non soltanto il presupposto dell’esistenza di Klara, che è alimentata appunto dalla sua luce, ma è il vero significato della sua vita. Questo androide non è soltanto veloce a imparare, come è ovvio che sia, non è soltanto abilissimo nel dedurre dall’osservazione verità generali (e questo è meno ovvio), ma sa poi trasformare osservazioni e intuizioni in una conoscenza radicale di ciò che anche Ishiguro definisce - come innumerevoli altri narratori e non soltanto Manzoni al quale la formula si deve - il «guazzabuglio del cuore umano». 
Klara è dunque una macchina fenomenologica che da tutte le «nuove preziose occasioni di osservare» (p. 76) trae alimento per la sua fede animistica nel Sole. Quella fiducia nella materia e nel reale che invece gli umani del futuro indeterminato di questo romanzo, così simile al presente della ‘didattica a distanza’, sembrano avere del tutto smarrito: «Ma che importanza ha? È solo materia» (p. 187). Ma è in quella materia - fatta di pecore e di tori, di fienili e di prati - che Klara trova il modo di mostrarsi profondamente vera e viva, sino a dirsi ed essere disposta a rinunciare a qualcosa che per lei è essenziale pur di raggiungere uno scopo che ritiene superiore. 
Intenzionalità, osservazione, scansione rigorosa delle forme, rendono fenomenologico il romanzo e tolemaica la sua trama. Che qui ho lasciato naturalmente nell’oscurità (è pur sempre un’avventura a sorpresa). Ma almeno un elemento va illuminato, quello che rende gli androidi di Ishiguro così saggi rispetto ai robot salutistici che gli umani sembrano essere diventati. Questo elemento è la struttura mortale dell’esserci: «Klara merita di meglio. Merita il suo declino lento» (p. 261).
Accogliere la finitudine, superare la distanza. Questo ci insegna Klara mentre guarda il Sole.