L'ECONOMIA (DI MERCATO) NON E' UN GIOCO DA BAMBINI
Sembra che nel linguaggio parlato sia sempre meno frequente l'uso dei verbi all'imperfetto, un indizio apparentemente trascurabile ma che racconta molto del modo e del mondo in cui viviamo. Si sa che il tempo imperfetto descrive per lo più situazioni di durata, legate all'abitudine oppure ipotetiche e incerte. Ricordo però che nella mia infanzia si usava anche per giocare "al futuro". "Si faceva che ...." (diverso dal "c'era una volta") era il motto iniziale d'intesa per dare inizio a una storia e sebbene l'epilogo fosse quasi sempre a lieto fine, non c'era un vero e proprio copione. La forma "imperfetta" del tempo apriva mondi possibili, non pianificati né esatti, tantomeno gestiti e tuttavia non privi di senso. Forse non solo in me, quei momenti hanno impresso un sentimento del tempo che considero un privilegio pur riconoscendovi anche il seme dell'(in)sofferenza per ciò che è perduto. Mi spiego così il fastidio per l'enfasi un po' di maniera che si attribuisce oggi al concetto di "narrazione", una parola che sa di artificio quando risuona nei contesti aziendali, nella pubblicità e perfino nella medicina che per essere davvero cura deve farsi narrativa.
Mi si passino i riferimenti personali ma se il tempo, kantianamente, è un dato soggettivo della coscienza, la riflessione non può che iniziare dall'esperienza personale per passare da lì a riflettere sulla percezione diffusa oggi di non averne mai abbastanza. Ci deve essere una ragione profonda se somigliamo al Bianconiglio di Carroll - tanto per rimanere nell'immaginario - affannati a trattenere il tempo che scivola via come l'acqua da un catino bucato. Un dato apparentemente incomprensibile, considerata la rapidità con la quale si compiono normali azioni quotidiane, come spostarsi, informarsi, comunicare, acquistare. Ma anziché liberare tempo questa magnifica accelerazione ne ha alimentata la fame. Il fenomeno non dipende da una errata percezione tanto che Hartmut Rosa, francofortese di ultima generazione, parla di "contrazione del presente" come di un concetto chiave per interpretare la società contemporanea e i suoi mutamenti socio-culturali. Il presente funziona da inghiottitoio dove il passato e il futuro collassano nella dimensione dell'immediatezza, senza direzione né durata. Rosa lo descrive come il "fenomeno della china scivolosa" in cui "il capitalista non può fermarsi a riposare, sostare e rafforzare la propria posizione perché il suo destino è quello di andare sempre o su o giù. Non c'è punto di equilibrio, perché stare fermo equivale a cadere all'indietro." (H. Rosa, Accelerazione e alienazione, 2015, p. 30). Allo stesso modo anche gli individui - noi! - devono stare al passo coi tempi: "fare una lunga pausa significa diventare fuori moda, antiquati, anacronistici nell'esperienza e nella conoscenza, negli accessori e nell'abbigliamento, negli orientamenti e persino nella lingua" (ivi, p. 31).
Quando una società passa dall'avere un'economia di mercato ad essere tutt'uno con il mercato, la scelta di comportamenti individuali diversi significa starne fuori, privarsi del riconoscimento sociale e della possibilità di intendersi e di comunicare con gli altri. Nelle condizioni date rallentare non basta perché strutturalmente impossibile o quantomeno irrilevante.
L'economia del capitale considera il libero mercato come il fulcro del suo buon funzionamento, sulla base di convinzioni tanto nette quanto controfattuali: la prima è che attraverso la mano invisibile del mercato si raggiunga l'equilibrio atteso; la seconda, che per raggiungerlo è necessario produrre e consumare incessantemente; la terza convinzione, la più interessante per svelare l'errore di congettura, è che nella matrice dei modelli econometrici il tempo non è una variabile in gioco. Secondo la visione lineare della domanda e dell'offerta il processo economico si perfeziona ogni volta che avviene uno scambio di beni (o di servizi) come se ogni transazione non dipendesse da un processo costruito intorno a logiche economiche, politiche e sociali che lo governano e dalle teorie sulle quali si fonda. La contrazione del presente, l'accelerazione strutturale di cui parla Rosa, si basa sull'assunto teorico che nel libero mercato il tempo non esiste perché non serve.
Mauro Gallegati, autore de Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, sostiene che questa illusione discende storicamente dal sodalizio originario dell'economia con la fisica classica considerata, al tempo della fulgente stella di Newton, il modello scientifico di maggiore successo. L'ambizione di condividere lo statuto epistemologico delle scienze esatte ne avrebbe favorito la trasformazione da scienza sociale a disciplina matematica, sebbene i princìpi del determinismo, del riduzionismo, e del bilanciamento naturale delle forze, tipici della fisica classica, non siano più adeguati a comprendere sistemi complessi nei quali si producono fenomeni emergenti e cambiamenti nel corso del tempo.
Per fortuna le alternative esistono (buona notizia) sia nella fisica che nell'economia. Anche per la teoria della relatività generale il tempo non esiste, ma non perché scorra indipendentemente dalle cose o perché sia ad esse indifferente, piuttosto perché si struttura nell'interazione degli oggetti nell'universo. In economia studiosi come Stiglitz, Piketty, Sen, Zamagni e molti altri meno noti sono impegnati nella ricerca di modelli matematici che abbiano riguardo per i criteri della meccanica quantistica, più consona a decriptare la variabilità e l'incertezza. Non è neppure estranea al pensiero di alcuni di loro, l'idea che l'economia e la filosofia - oltre alla storia come già avviene - possano tornare ad occuparsi insieme degli aspetti fondamentali della vita: l'utile, la ragione, la natura, la felicità, l'uomo (Zamagni, “Economia e filosofia”, 1994, http://www.dse.unibo.it/wp/184.pdf). La cattiva notizia è che la strada da percorrere è ancora lunga dal momento che - per ammissione degli stessi studiosi - gli strumenti di verifica empirica dei modelli della complessità applicati all'economia sono ancora insufficienti per invertire la tendenza delle teorie mainstream e le conseguenti scelte di politica economica. E c'è da crederlo, visto che neppure la pandemia sembra aver generato autentici squarci di ripensamento del modello di sviluppo in alternativa alla crescita, ma ciò non è ragione sufficiente per smettere di giocare al futuro ed immaginare mondi possibili.