L' IMPERO DELL' IGNORANZA
La lettura del libro di Davide Miccione, La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura, può essere paragonata all’inizio di un atto di purificazione. Difatti, la società odierna (e quella italiana in particolare) è permeata da uno spirito immondo che cinge d’assedio ogni individuo, e tenta sin dall’infanzia l’estrema corruzione, ossia il disconoscimento di cosa sia cultura. È lo spirito immondo dell’ignoranza che avanza vittorioso. Già nelle Sacre Scritture l’ignoranza veniva fortemente stigmatizzata (ad esempio, in Osea 4:6).
Il riferimento all’ignoranza come uno spirito immondo, dunque, non è un mero espediente retorico volto ad attirare l’attenzione di chi legge: l’ignoranza si sostanzia in un vero e proprio spirito contrario ad ogni sapere e ad ogni slancio di conoscenza. Sebbene la parola ‘ignoranza’ derivi dal latino ignorantia, quale negazione della parola greca γνῶσις (conoscenza), da cui trapela il senso di «mancanza di conoscenza», l’ignoranza è anche il rifiuto della conoscenza.
Se storicamente l’accesso alla cultura è stato un privilegio consentito ai pochi che si trovavano ai vertici della scala sociale (nobili e clero prima, ricchi e borghesi dopo), oggi la cultura ha vie d’accesso potenzialmente infinite, ed essa non presenta più ostacoli invalicabili di ceto sociale. L’ignoranza era per l’appunto il segno distintivo delle classi subalterne, di chi veniva continuamente rigettato ai piedi della piramide sociale. Non è un caso, infatti, che nelle generazioni precedenti alla nostra (fino agli anni ’60, perlomeno) il mancato accesso all’istruzione fosse uno stigma sociale, nonché un motivo di vergogna.
Eppure, lo spirito dell’ignoranza non sembrerebbe essere stato mai così presente come lo è oggi. L’ignorante d’un tempo era più propenso all’imbarazzo e alla vergogna, l’animo umano non dava adito allo spirito immondo dell’ignoranza, dando piuttosto spazio a quel socratico “sapere di non sapere”: il sapere di essere ignorante che conduce all’ascolto e al dialogo, e lì dove possibile a porre rimedio alle proprie lacune.
Il fattore determinante in gioco è proprio l’animo umano: lo spirito consapevole dei propri limiti dell’ignorante d’un tempo conduceva a ricercare il sapere, a dotarsi di una cultura o, in extremis, a non far conoscere pubblicamente la propria ignoranza, tantomeno di assurdamente vantarsene: una dotta ignoranza, insomma. I tempi, tuttavia, sono cambiati, e con essi è cambiato lo «spirito del tempo». E in ciò è incluso lo spirito dell’ignoranza: esso è divenuto immondo, poiché ora è l’esatto opposto di ciò che si è definito dotta ignoranza. Ora siamo dinanzi ad una maledetta ignoranza, che fa dietro di sé terra bruciata d’ogni sapere e si sostanzia in uno slancio inverso a quello del sapere.
Lo spirito immondo dell’ignoranza si sintetizza così: “so di non sapere, e non mi interessa sapere”. O, peggio, “non so di non sapere e non voglio saperlo”. È uno stato attivo dello spirito dell’ignoranza: per essere ignoranti bisogna attivamente agire per rimanere nel proprio stato di ignoranza, evitando accuratamente qualsiasi possibilità di conoscenza. Lo spirito attivo dell’ignoranza è anche uno spirito nichilistico, in cui tutte le cose diventano prive di spessore, indifferenti, divenendo un accumulo di forme indistinte, cosicché lo stato di ignoranza non venga scosso in alcun modo, anzi così rinforzandosi.
Il mutamento dello spirito dell’ignoranza, come anticipato poc’anzi, va di pari passo col mutamento dei tempi. In effetti, non è irrealistico pensare che l’ignoranza si sia adattata alle nuove forme sociali, politiche ed economiche che dal secondo dopoguerra in poi hanno definito il mondo in cui viviamo. La questione, di notevole complessità, è stata affrontata in una mia breve analisi su Gazzetta Filosofica del 15 ottobre 2022 (link: Breve storia della distruzione della cultura occidentale - Benvenuti su gazzettafilosofica!), e che può essere riassunta brevemente col concetto di «ignoranza capitalistica».
Una delle conseguenze più rilevanti di questo fenomeno emerso negli ultimi decenni è lo scollamento sempre più grave tra istruzione e cultura. Sebbene risulti chiaro come la cultura non sia contenuta nell’istruzione e non sia confinata in essa, il paradosso odierno è che l’istruzione possa allontanare dalla cultura o, nei casi peggiori, condurla a odiarla. Se la persona istruita in passato era spesso (ma non necessariamente) anche una persona acculturata, la persona istruita odierna spesso (o quasi sempre) non è in quanto tale una persona acculturata.
Si può dunque essere istruiti ma non acculturati, ergo privi di amore per la cultura. Ce lo ricorda pure Gómez Dávila nei suoi Escolios, quando scrive «Cultura è tutto ciò che l’Università non può insegnare». Si può essere istruiti e tuttavia rimanere in ostaggio dello spirito dell’ignoranza. L’esser istruiti, quindi, potrebbe trarre in inganno: anche questa è una congiura degli ignoranti. Lo spirito dell’ignoranza colpisce anche gli istruiti e vi riesce secondo quella che potrebbe dirsi una «ignoranza generalizzata»: ciò che è utile devo conoscerlo; ciò che non è utile non devo conoscerlo (posto all’imperativo, perché l’ignoranza è sempre imperativa).
Non è necessario soffermarsi sulle cause e sulle ragioni di questa «genealogia dell’ignoranza», di cui Miccione peraltro espone in modo preciso i lineamenti nei suoi libri. È bene, però, tenere conto che il progenitore da cui scaturisce l’«ignoranza generalizzata» è l’«ignoranza capitalistica», che per l’appunto si contraddistingue per la sua logica utilitaristica, unitamente alla dimensione ontologica della condizionalità neoliberista.
Sono molte le conseguenze che si possono trarre da un tale stato di cose, ma qui è sufficiente analizzarne una in particolare. Per comprendere come si siano poste le fondamenta di un impero dell’ignoranza sempre più esteso e violento, occorre considerare come nell’epoca in cui viviamo esista una sbalorditiva discrasia tra l’accesso illimitato all’informazione, alle notizie, nonché ai più disparati documenti e produzioni culturali, e il proliferare delle radici dell’ignoranza generalizzata, che diventano sempre più profonde.
In definitiva con l’avanzare di tali radici lo stare-al-mondo diviene un enigma sempre più indecifrabile. Le possibilità di interpretazione del mondo diminuiscono drasticamente, in una realtà che si fa sempre più a-storica e unidimensionale. È la resa del pensiero, che perde sempre più terreno, sostituito dalle narrazioni ideologiche che contraddistinguono il XXI secolo. Dovrebbe essere già sufficientemente chiaro come il venir meno del pensiero e della ricerca della verità conducono sempre a forme totalitarie di vita e di potere: non è un caso se oggi è in corso una congiura che mira all’instaurazione di tale impero.