Aldous

Circolari ipnopediche

BERLUSCONI, LA SEMPLIFICAZIONE

Un po’ come accade con i grandi scrittori, la cui opera secondo la prassi critica viene considerata integralmente solo dopo la loro morte, allo stesso modo, per trarre un bilancio, si fa con i leader politici. La morte è sempre il sigillo della vita, il punto di chiusura obbligato e necessario che pone un termine a un’esistenza e consente, con un rimbalzo che dalla fine va a tutto ciò che è trascorso, di stabilire una riflessione. Vengono in mente le celebri parole pronunciate da Augusto sul letto di morte e riportate da Svetonio, stando alla testimonianza del quale, nella sua villa apud Nolam e attorniato dalla famiglia, il primo imperator dei romani avrebbe affermato che se lo spettacolo era piaciuto (quello della sua vita) allora si poteva applaudire. Per quanto riguarda Silvio Berlusconi, naturalmente, non ci si può spingere al punto da confrontarlo con grandi esperienze letterarie (penso ad alcuni premi Nobel del nostro tempo che lo hanno avversato e parodiato in ogni modo, da Saramago a Fo), né tantomeno ardire a rievocare i fasti di Augusto. Ma che sia stato un grande spettacolo questo lo si può certamente affermare.

In questi giorni, mi sembra che l’opinione pubblica si stia polarizzando in due schieramenti: il partito dei celebranti, ossequiosi, commossi sostenitori di Berlusconi, e quello dei detrattori che urlano allo scandalo per il lutto nazionale, i funerali di Stato e la stucchevole pompa magna di tutto il cerimoniale (a cui l’ex-presidente del Consiglio deve certamente aver pensato nei minimi dettagli). A questi due, in una posizione marginale, si sottraggono invece gli intellettuali latamente snob, possibilmente di sinistra, che per non macchiarsi di complicità con l’ultimo, imponente show di Berlusconi preferiscono tacere, restare indifferenti e non rimpinguare con ulteriori opinioni il già enorme profluvio di commenti. A questo proposito, ritengo che sia doveroso ricordarsi del mai eludibile motto spinoziano per cui humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari sed intelligere, ovvero che qualunque manifestazione umana, soprattutto se determinante la storia collettiva da quasi un trentennio, con fortissime implicazioni sul presente e anche sul futuro, vada compresa e analizzata per come si dà, tentando di darne un’interpretazione e di coglierne l’essenza.

Oltre al fiuto per gli affari e alla capacità di tramutarli in atto, denaro e influenza, il talento di Berlusconi è, per dirla in una parola, la semplificazione. La sua voce calda, suadente e comprensiva, l’accento milanese controllato e una dizione ottima, il suo sorriso smagliante anche dinanzi alle offese più gravi e alle insinuazioni più subdole, la spudoratezza nella menzogna seriale, i tormentoni giudiziari, gli scandali sessuali, le gaffes in mondovisione, i lifting facciali, la sua espressione gioconda, ilare, rassicurante, hanno reso Berlusconi il personaggio che è stato.

Tra gli studi e le riflessioni su Berlusconi e sul fenomeno del berlusconismo, si segnala tra i più acuti quello di Giovanni Orsina (Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 2013), il quale, tra le tante caratteristiche, individua come vettore di successo del quattro volte presidente del Consiglio le cosiddette misure ortopedico-pedagogiche tipiche di una certa sinistra, il cui obiettivo era quello di raddrizzare l’Italia e di adeguarla finalmente agli standard intellettuali ritenuti accettabili. Berlusconi, invece, respinge tutto questo. Sicuramente forte della sua esperienza sul campo, sia televisivo che calcistico, e di una straordinaria capacità di immedesimazione, o più probabilmente di una coincidenza effettiva con i sentimenti di massa, Berlusconi incarna il contrario, che non c’è nulla da correggere, che il complicato è solo un modo ristretto, oltre che errato, di affrontare le questioni sociali, che gli italiani vanno bene così come sono. Berlusconi comprende che la comunicazione e la politica vanno costruiti su misura dell’italiano tifoso del Milan e appassionato di belle donne che guarda tutte le domeniche la partita e osserva stupito e ammirato (per citarne alcune) le sfilate di Madre Natura del programma Ciao Darwin, le liti di Grande Fratello e le infallibili fiction in onda in prima serata su Canale 5.

In un certo senso, si può dire che il successo di Berlusconi si genera a partire da questa profonda e radicale comprensione di cosa l’umano è e desidera, accentrando in se stesso, involontariamente o per calcolo politico, tutto ciò che il pubblico televisivo e calcistico possa mai volere nella vita. Berlusconi è l’uomo di successo, il miliardario, il presidente della squadra più titolata d’Italia che regala gioie immense ai tifosi sparsi in tutta la Penisola, il proprietario della televisione privata in concorrenza con quella di Stato (che per alcuni versi ne ha imitato i format), il politico tra i più longevi della Storia repubblicana che avrebbe dovuto condurre il Paese al benessere e alle stesse efficienza e prosperità che potevano vantare le sue varie aziende.

C’è da chiedersi, allora, se questa affermazione così vasta e in alcuni momenti quasi totale nel panorama italiano ci sarebbe stata altrimenti. Se Berlusconi, per esempio, avesse tenuto comportamenti più riguardosi nei confronti delle istituzioni, dei valori condivisi e fondanti la Costituzione, se non avesse scambiato lo Stato per un’azienda privata con cui garantire e incrementare i propri profitti, se non avesse determinato un abbassamento delle pretese intellettuali e scadere in un pensiero non della mente ma delle viscere. Berlusconi è stato il personaggio degli impulsi più bassi, facendo così comprendere, anche a chi lo odia e lo osteggia in ogni modo, che l’umano è prima di tutto e in larga parte quell’animale che vuole essere adulato e idolatrato, essere ricco e ricolmo di beni e proprietà, abbandonarsi alle pulsioni con belle donne, stupefacenti, visibilità e potere. Una miscela che negli ultimi anni, a seguito delle varie traversie giudiziarie che l’hanno coinvolto e sulle quali ciascuno può farsi la sua opinione, ha rischiato di intorbidarsi, persino di esplodere e di far rovinare tutto. Ma davanti a tutto questo, Berlusconi ha saputo sempre reinventarsi facendo ciò che gli riusciva meglio fare ed essere, ancora una volta personaggio, show, spettacolo. Al di là di ogni satira, parodia, sarcasmo, Berlusconi ha saputo essere anche l’opportunistica caricatura di se stesso, inventando barzellette di dubbia ilarità, spesse volte con lui protagonista e narrate in terza persona, ma che suscitano il riso poiché è pur sempre Berlusconi che le racconta, per stemperare le accuse nei suoi confronti e riconquistare la simpatia dei suoi elettori.

C’è da chiedersi se senza questa tendenza alla semplificazione e all’assurgere a spicco dei desideri di tutti un uomo del suo potere e del suo prestigio avrebbe svolto un investimento in un diverso progetto di umanità, che non si riducesse alla retorica del guadagno come realizzazione sociale, alla discriminazione della povertà, alla strumentalizzazione della donna, alla menzogna reiterata sulla giustizia, al familismo, al perseverare del malaffare, al pregiudizio sulla cultura come luogo della altresì necessaria complessità, rilanciando la politica come guida della civiltà fondata sulle idee invece che esserne colpevole degenerazione. 

Dopo il suo sorriso, c’è il nostro pianto. Dopo questo spettacolo, quindi, non si può applaudire.