SCURDAMMOCE O' PASSATO
In questi giorni, per una di quelle silenziose coincidenze che possono risultare dense di significato per chi le rileva, il flusso della cronaca ci mette di fronte all’intreccio di due eventi, uno dei quali celebrato a reti unificate: mi riferisco alla vittoria di Novak Djokovic agli Open d’Australia (29 gennaio 2023), mentre il secondo, passato sotto silenzio, è l’anniversario della scomparsa di Luc Montaigner, premio Nobel per la Medicina nel 2008 (8 febbraio 2022). Sullo sfondo di questo intreccio poniamo, da una parte, l’atteggiamento che entrambi i personaggi hanno assunto nei confronti delle politiche pandemiche, con la conseguente ghettizzazione subita a causa delle loro idee, e dall’altra, la nostra riflessione che persiste a sondare, scavare e rivoltare le pieghe della “normalizzazione” in atto, i cui aspetti critici una dissonante massa mediatica prova insistentemente a nascondere dandola per realizzata, misconoscendo in tal modo la complessità di dinamiche non ancora del tutto emerse.
La vittoria del serbo Djokovic in Australia, celebrata Urbis et orbis per il notevole rilievo che ha avuto in ambito sportivo, ha risvegliato dall’una e dall’altra parte della barricata pandemica il fuoco che cova sotto la cenere: sono tornati on line i vecchi tweet che fustigavano l’atleta per essersi opposto, pagando di persona, all’intrusione della scienza (accecata dall’ideologia e dalla furia moralizzatrice) nel suo diritto, squisitamente naturale, di decidere a quali cure sottoporsi. L’anno scorso, di questi tempi, era già conclamato il fatto che il vaccino non immunizzasse, né impedisse la trasmissione, se non per qualche settimana: il velo di Maya del presunto “beau geste” (vaccinarsi per proteggere gli altri) risultava strappato; proprio per questo, occorreva colpire chi mostrava - con lucida coerenza, senza alzare i toni, semplicemente resistendo - che l’imperatore era nudo. Le esclusioni, le umiliazioni del tennista serbo servivano proprio a esibire il reo messo alla gogna – Foucault insegna - per evitare che altri seguissero il suo esempio. Non a caso, la cronaca recente è stata prodiga di scoop relativi a false vaccinazioni, falsi Green Pass ecc. provenienti dal mondo sportivo, benché ciò sia segno che – sottobanco - la diffidenza nei confronti della spinta vaccinale era piuttosto diffusa anche negli ambienti che dovevano fungere da cassa di risonanza delle politiche pandemiche (gli sportivi arruolati come influencer). A ribadire l’ortodossia del “buon cittadino” profusa a piene mani dai vertici politici del nostro Paese (e mai smentita dai nuovi inquilini dei Palazzi romani), tutto ciò è stato nuovamente redarguito con le solite crocifissioni mediatiche e i corrispondenti autodafé.
Questo ritorno di fiamma delle partigianerie di entrambe le fazioni rende evidente che sono tutt’ora in atto dinamiche rivendicatorie che impediscono di appurare con la necessaria obiettività le ragioni dell’una e dell’altra parte. In altre parole, mostrano che la spinta ideologica e moralizzatrice e il suo correlato difensivo non si sono affatto attenuati, anche se sono stati spuntati, per legge, gli artigli più feroci della prima (obblighi, sanzioni, esclusioni). Durerà? – si chiedono in molti. Fino alla prossima emergenza, forse… è la risposta che sale alle labbra dei resistenti, nella consapevolezza della flebile capacità della maggior parte degli italiani di guardare in modo informato attraverso e oltre le imponenti campagne propagandistiche, le quali, ancor oggi, evitano come la peste di dare spazio a studi scientifici (la cui eco ci giunge dalla stampa estera) tanto rilevanti da suggerire una rivalutazione critica delle norme adottate nella gestione pandemica.
Il primo anniversario della dipartita di Luc Montaigner ci consente, invece, di guardare, nella perfezione del compiuto temporale disegnato dalla morte, alla parabola della propaganda pandemica, fissata indelebilmente nei gesti dei suoi performer: il dileggio, la svalutazione, la segregazione civile e intellettuale di un uomo tanto rilevante in campo scientifico da essersi guadagnato un Nobel. Infatti quest’uomo, niente affatto spossato dalla senilità, anzi lucido e combattivo, è stato dipinto come un debole (un “rincoglionito”) perché alzava una voce libera dai lacci di contratti milionari con le aziende farmaceutiche - sponsor di quasi tutta la ricerca scientifica - contro la voce del Padrone (mercato, potere, comunque lo si voglia chiamare). Contro Montaigner – le cui lucide previsioni mediche trovano oggi sempre più ampia conferma sperimentale - è stata incitata un’oltraggiosa derisione pubblica disonorevolmente dimentica del rispetto che si deve agli antichi Maestri (persino qualora dovessero sbagliare) in virtù di quelle qualità umane che sempre più si vuol cancellare dalla scena della contemporaneità.
In questo contesto, tutt’altro che chiaro, qualcuno, nei mesi scorsi, ha auspicato che si arrivasse ad una sorta di pacificazione nazionale. Non mi è ben chiaro che cosa intendessero i proponenti; ho il vago sospetto che si volesse voltare pagina velocemente, in modo da evitare di chiedere scusa per quanto è accaduto - qualcuno l’ha fatto? -, o, peggio, di dover ammettere i madornali errori politici e le sottostanti piegature economiche, giuridiche e scientifiche che li hanno resi possibili e corroborati. Negare, sempre, resta imperativo, dunque meglio sminare il campo di battaglia: sembrerebbe questa la filosofia del nuovo gioco, nel quale, ovviamente, il più potente deve incessantemente tenere la palla.
Ma la gente comincia ad essere stufa e sempre più occhi si aprono su quanto accade. Il mondo della politica ne ha subito un primo contraccolpo con la batosta elettorale del 25 settembre, evento di cui, però, ancora non si vuole vedere la portata: qual è il significato del pesante astensionismo? Quale il valore politico dei partiti del dissenso che ancora si prova a lacerare dall’interno? Qual è il peso del distacco della politica dal Paese reale? Come vive la gente le pantomime di una politica svuotata di senso, dove tutti tirano il sasso nascondendo la mano? Dove nessuno riconosce i propri errori, che puntualmente vengono scaricati sul popolo? Dove si può impunemente mentire ai propri cittadini senza nessuna conseguenza giuridica?
Anche il mondo della scienza ne esce delegittimato (la fiducia del cittadino medio è precipitata a livelli infimi) per essersi piegato ai diktat di politiche sanitarie che poco avevano a che vedere con la vera scienza e molto, invece, con la fede nel suo simulacro ideologico; che ciò sia avvenuto per l’incapacità di cogliere - nell’urlo proveniente da quella parte del mondo scientifico che pativa la mancanza di un confronto schietto tra operatori - i segnali che richiamavano alla cautela cui vincola il giuramento ippocratico (primum non nocere) marca una sconfitta morale e civile da cui non sarà facile riprendersi.
A questo molteplice disastro, nessuno vuole seriamente guardare. Si preferisce cianciare di pacificazione, nascondendo la polvere sotto il tappeto; o, in modo analogo, di pace mentre si armano i combattenti...
Sarà forse che si teme, guardando dentro l’abisso, che l’abisso guardi noi?